martedì 21 febbraio 2017

Adagi soffiati

Il tempo di raccordo delle giornate è il tempo del deposito delle cose. E' la posa degli umori. La somma dei grani di rabbia, la vista delle tonalità invisibili del rancore. 
La diversa prospettiva del torto. L'organizzazione della ragione dopo una sconfitta. Tempi di raccordo. Lo sciabordio dell'acqua del rubinetto lungo i tubi prima che si intiepidisca. L'attesa accanto alla macchina del caffè prima che la spia si accenda. Il mascara viola che si asciuga. Il rumore ritmico e industriale dell'ascensore che fende il cuore del palazzo e si schiude per ingoiarmi. Il vento di risucchio del tunnel della metropolitana che raggiunge la banchina. Il rumore, alle mie spalle, dei passi della ragazza coi tacchi. Mi superano lei e i suoi capelli rossi. Una ciocca ribelle si libera dal basco blu. Un lampo di bellezza. La voce dalle casse che chiama qualcuno muore nel rumore del treno in arrivo. Il video della canzone che voglio ascoltare viene dopo un vortice di attesa dal browser. Come le mattine di corsa verso la cassetta della posta. Il calcolo dei giorni di niente sbriciolato dall'unico esplosivo istante della vista del bordo affilato di una busta chiusa. La calligrafia nota. Gli adesivi chiassosi. 
Mi accorgo di amare le pause dal clamore. Sono coerente nella cura del tempo che nessuno occupa. Il tempo dimenticato. Lasciato al caso. Lo aspetto, se serve. Lo provoco. Se serve. Mi chiedo quanto sarebbe inutile il giorno senza le attese. Un giochino di rimandi senza pathos. Una corsa preordinata fra tasselli abituati a spingersi l'uno sull'altro. Un domino che si completa per intero dopo un solo, indifferente gesto automatico. Input. Ago ipodermico. Già fatto. Fino a " buonanotte ". Figura terminata. Senza applausi. Era tutto previsto. 
Il tempo di raccordo nelle parole mancanti dei discorsi. 
Le frasi riempitivo che costruisco sono adagi soffiati in una bolla di sapone mentre il mondo che mi risponde si organizza con risposte ago. Striminzite e graffianti. Un mondo di risposte attese e infine negate. A coincidenza zero. Non è il mio tempo.  

domenica 19 febbraio 2017

Di te


Mi chiedi sempre di te. E io di te parlo sempre. 

Molto dopo e molto più che nel tempo in cui mi ascolti. Altre forme di spettatori silenziosi vengono ad ascoltarmi parlare di te. 

I libri accatastati in un disordine scientifico, le punte arrotondate dei pastelli nel barattolo di latta. I fiori bianchi sulla mensola che domani saranno foglie. E questo soffitto basso che tiene tutto più vicino. Anche i pensieri dedicati a te non hanno tempo per farsi sospiro, per riempirsi di ossigeno, per vagare, per farsi lievi. 
Mi restano schiacciati al petto. Sono pressione sulle labbra. 

Mi chiedi sempre di te. E io di te sempre parlo. La tua anima è il mare ritratto durante la tempesta. 
Sono l'artista che cambia il colore alle onde; blu e nero come i miei capelli che ricadono piombati a quinte da palcoscenico ai lati dei tuoi occhi mentre ti guardo fisso. 
Sono lo spettatore. Graffiato, impaurito e muto. Scosso da raffiche di vento gelato. 
Sono la scogliera. Che fa muro al muro. Che aspetta un colpo e lo restituisce.Non cedo né conquisto. 

La tua anima è il mare ritratto durante la tempesta. 
Io posso essere l'artista folle che cambia ogni giorno il tono o l'impeto delle tue onde. Io posso essere lo spettatore arreso, vinto, spezzato dal tuo inverno. Io posso essere la scogliera fiera, il muro immobile d'orgoglio che non concede né ottiene.
Io so chi sono. Mentre mi chiedi di te. E qui non c'è rumore.
Sei mare in tempesta. Tempesta per la scogliera. Per l'artista. Per lo spettatore. 
Io sono sul fondo di te. Dove non c'è rumore. Dove mi guardi fisso. E non sento più il mondo.
I miei capelli - blu e e nero - sipari lungo le tue tempie. Tu mi fissi. Sei tutto il mondo. 

mercoledì 21 ottobre 2015

De Invidia

Un " altrove " in pustola vi pulsa sotto le gengive arrossate dal troppo masticare amaro.
Il malinvidioso è incurabile. Fiaccante. Debilitante. Squalificante.
Una confessione d'inferiorità, dice Balzac.

L'invidia non è un paese per spiriti elevati. 

E' il punto di ristoro sul sentiero del fallimento. 
Il rifugio della rabbia repressa. 
La rivalsa minima ma già morente dell'accumulo bilioso.

In un modo o nell'altro è secrezione vischiosa. Putrescente. 

Dignità in avanzato stato di decomposizione.
Come nuovi non-vivi vi aggirate infetti nella parte meno in luce delle cose. Deformati nello spirito e spesso nell'espressione degli occhi - vi si infossano e si piegano in un acciglio perenne -. 
Ruga d'espressione.

Cancellate nomi sperando di cancellare qualità. 

Come i bambini cancellano col piedino i disegni fatti sulla sabbia col legnetto dagli altri bambini per avere lo spazio tutto per sé. 
Segnate un territorio friabile. Come i cuccioli lo segnano con l'urina.
Altra secrezione maleodorante.

Siete importanti. Oh produttori di scarti e di ilarità sommessa. Speranza di dignità per contrappasso.

Vi stimo

mercoledì 14 ottobre 2015

Il bisogno si vendica



Scrivere è necessario. Vivere non è necessario
Fernando Pessoa 

Le parole sono un bisogno fisiologico del corpo scrivente. Più di un bisogno mentale, più di un esercizio tecnico, più di una presunta abilità. Sono necessità fisica.
Ieri avrei voluto scrivere. 
Non ricordo il tema. Neanche la linea che avrei voluto dargli. Non le pause. Niente sulla punteggiatura. Sul respiro coinvolto. Sul destinatario. Niente di niente ricordo. 

Non ricordo altro che il bisogno avvertito e soffocato. Indistinto e non indirizzato. 
Come quello omicida per i sociopatici. Senza bersaglio ma con l'intensità di chi ne ha uno.
Quel pensiero fisso e sotterraneo che senti respirare con un ritmo sincopato, una sotto-frequenza nello spettro auditivo. Un fischio infido impossibile da evitare. Interferenza. 

L'ho ignorato. Accantonato ad aspettare il proprio turno. Impilato in fondo a stucchevoli, formali eventi di altra natura banale. 
Prepararsi per uscire, sollevare i capelli sulla nuca, sistemare il risvolto della giacca, tormentare una ferita che in questo circolo vizioso tarda a rimarginarsi.
L'ho ignorato e l'ho perduto. E il bisogno inespresso si fa malanno. Si fa focolaio inascoltato. 
Si fa sintomo o malattia in potenza.

Le parole sono un bisogno. Il bisogno si vendica. Sono qui per questo