Cose che mi incantano.
Mi incantano i numeri che tentano la misura delle emozioni.
Mi incantano nella misura in cui provano a contenere - che potete intendere anche come " arginare "- quelle cose che non si vedono.
Gli invisibili ventuno grammi di Alejandro Gonzales Inarritu a misura dell'anima.
I quasi otto litri di lacrime versate mediamente in una vita, da un essere umano. Per gioie, commozione, dolore. Perdita e meraviglia.
Dodici minuti. Il tempo effettivo del dolore più genuino.
Quello sufficiente a manifestare uno stato di sofferenza assoluta.
Ciò che va oltre i 12 minuti cade nelle categorie di autocommiserazione.
Di drammatizzazione aulica dei primi 12.
E' come riscrivere con altre parole (pompose, superflue e ripetitive ) una locuzione sintetica e perfetta.
Chiaramente l'idea che il dolore per una perdita, sia essa reale o sia rappresentata solo dall'interruzione di una relazione, abbia una durata così breve diventa inaccettabile.
E' si, questo, un dolore che provoca e causa lungaggine.
Davvero la passione provata e finita per un oggetto desiderato ha nel tempo così breve di 12 minuti la sua conclusione?
Davvero, abbandonati, lasciati, disconosciuti...abbiamo diritto a soli 12 minuti di dolore straziante?
Cosa succede a quel tempo dedicato alla parentesi dolorosa?
Il dolore è un lavoro.
E' una divisa.
Avremmo puntato al dolore perenne e ci ritroviamo in un contratto a tempo determinato?
Lo semplifica in maniera tagliente e limpida lo scrittore Harlan Ellison che lo incornicia così:
Dodici minuti corrispondono all'effettiva durata verificata del dolore genuino. Qualsiasi cosa oltre i dodici minuti è autocommiserazione, e tentativi inutili di far sembrare più importanti i primi dodici minuti. Siamo una specie vanagloriosa, e se fossimo capaci di afferrare il fatto che anche la più sauvage di quelle che i francesi chiamano la grand passion provoca solo dodici minuti reali di dolore intenso, prima di cominciare ad attenuarsi, correremmo tutti sulle scogliere per buttarci come tanti lemming. Così lo giustifichiamo intensificandolo, facendolo sembrare importante, più logorante. Andiamo in giro per vent'anni dopo che la relazione s'è rotta, battendoci il petto e alzando lamenti al cielo...
( Da " Vivo e vegeto in un viaggio solitario " )
Dodici minuti.
Vestiti come siamo di quella " fragile pelle che patisce la bruttezza dell'essere semplicemente umani "abbiamo provato ad immaginare il dolore come quell'abito riposto sulla sedia a notte fonda. Che vogliamo indossare al mattino.
Che è veste da camera mentre raccogliamo i capelli sulla nuca col becco di metallo dorato.
Che è maglietta senza maniche mentre corriamo in strada, con la musica nelle orecchie.
Che è giacca, camicia candida, abito da sera.
Lustrini piangenti e fiocchi neri alle scarpe col tacco.
E' il bordino di pizzo della sottoveste.
Abbiamo provato a renderlo duraturo. A renderlo magistrale. Un saggio di noi stessi.
Un'eco da lasciare ai posteri. Un modello da imitare.
Dimentichiamocene. Prendiamo i nostri 12 minuti, espansi così tanto da contenere quella fetta momentanea di dolore che solo per noi è un dolore eterno e riponiamolo in una scatola da lasciare andare sul fiume. Mentre rosseggia il sole.
Non diamoci peso. O misura.
Se non quella giusta.
Non saranno esattamente 12 minuti. Ammettiamolo.
La propensione culturale per il romanzo e per il testo in prosa ci indirizzano culturalmente a muoverci in categorie testuali dilaganti.
Ma la brevità è essa stessa evoluzione. La misura, quando argina e quando lo fa per una ferita è mutamento. Ed è sano.
Dalle lettere d'amore struggenti indirizzate ad un mittente che non c'è agli altri abbandoni.
Dall'etterno dolore al dolore in patch.
Dal dolore amplificato, raccontato, sviscerato, riesumato per essere ancora esaminato, dissezionato, sottoposto a perizia, imbustato e trattato chimicamente perché non si decomponga al dolore rapidamente cremato e lasciato alle acque. O al vento. Che se lo porti via.
Se di infinito ha bisogno, l'universo lo sistemerà.
In qualche punto lontano dell'universo, diventerà parte di una stella. O di un buco nero.
Ellisosn ne scriverà.
Echi da lontano