sabato 26 aprile 2014

Disguidi



Dal capitolo delle lettere d'amore. Alla voce lettere d'addio.
Fra tutte le lettere, quelle d'addio, sono le più belle lettere d'amore che scrivete.
L'intento vostro, ammirevole, per carità, sgrana con maestria un rosario infinito di parole dedicate al lasciarsi. All'andare.
Vi mettete comodi, anche nella postura. 
Lo scrittore di lettere d'addio occupa uno spazio fisico di cui è prima di tutto architetto: ha un atteggiamento determinato fin dai gesti, dal movimento. La schiena dritta, poggiata allo schienale. 
La mascella leggermente serrata. Lo sguardo che si fa fessura. Perché sta per parlare di buio. 
Ci tiene, sul serio, in questa lettera, a metterci poca luce. 

Declina sulla forma ciclica il suo ricordo di passato nostalgico e si dilunga giusto quel che basta sulle lodi smorzate delle fattezze decomposte di un futuro impossibile. 
Immobile com'è su questo grano( che è più grumo e blocca il flusso) di un presente disambiguo.


Le conosce, quelle parole. Non gli manca certo la semantica dell'addio. Di questo, lo scrittore di lettere d'addio ( che più scrive e più paiono d'amore...) sembra abbastanza certo.
Vorrebbe addirittura mostrare le sue doti di altissima retorica. Adagiarsi su preziosismi verbali e costrutti perlocutori che difficilmente abbandonerebbero la memoria di chi li riceve. 
Un pacco bomba ad orologeria costante che inviate al destinatario. Una vendetta gustata calda e fredda insieme in modalità loop. 
Si, le conosce, quelle parole. Se non per un uso diretto, per un semplice apprendimento indiretto. LE conosce perché le ha ascoltate. Anzi, le ha ricevute in dono. 
Da altri che meglio di lui sanno imbastire un addio. E lo rifiniscono finché lo guardate su di voi e sembra una seconda pelle. Vi stritola a perfezione. 

Poi, da un altro emisfero, ci siete voi. Scrittori di lettere d'addio che chiaramente sono d'amore. 
Con quell'inettitudine di innamorati perenni che non s'accorgono, come i sempreverdi, delle stagioni orribili che arrivano dall'amore e delle ferite che vi lasciano. 
Vi gela un inverno che graffia e inaridisce. Per voi è un momentaneo abbassamento di passione. 
Un sole in potenza. Per gli altri è un inverno senza rinascita. 

Mi ricordate, così insensibili al dolore, quelli che stanno sotto la pioggia anche quando diventa grandine. 
E di bello rimane solo l'idea romantica della primavera che mantenete saldamente in un ricordo.
Bersagliato, lapidato. 
Vi fate illividire l'anima, per eccesso di amore
E continuate a scrivere di un certo amore. Dite addio e suona amore. 
Girate intorno per andare, senza andarvene. E restate. 

Come Eco. Vi asciugate. E come Eco, restate voce.