Parlando di Mirò, Jacques Prévert lo descrive nel modo più incredibile e lusinghiero che si possa inventare: un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni ...
Ho sempre creduto alle affinità elettive.
Lo dimostra la linea rossa che collega fra loro i miei poeti, pittori, musicisti e scrittori preferiti.
Gli uni che rimandano agli altri.
Che citano, che si perdono l'uno nell'opera degli altri.
Prévert, che adoro, si perde in Mirò.
Il più disincantato e favolistico pittore del mondo. Mirò, il pittore che crea favole, che vive di poesia e disegna storie descritte con le parole e coi colori. Che sa di essere un poeta, pur parlando con la tela.
Le affinità sono incantevoli nel senso più originale dell'aggettivo: incantano.
Quando scopri che esistono, come fanno gli incantesimi, lo sai per davvero e ne sorridi.
Così, il semplice vederle, seguire con la punta delle dita quel filo rosso che le lega è qualcosa che sa di magico. E per quanto è magico è complesso.
Le affinità sono un sortilegio che non si invoca mai. Perché dopotutto, quello in cui viviamo, respiriamo e tentiamo battiti è soltanto una realtà rigida. Una realtà dove per lo più si vive con la dignità di un essere umano. Molto spesso anche con meno dignità. Che già quella umana, storicamente e socialmente conquistata, basterebbe.
Io ragiono in modo diverso e già dire che ragione è togliere leggerezza al giro che fanno i miei pensieri. Il mio concetto di vivere è semplice. Come la doppia linea di Mirò. Una linea bellissima, nata dopo anni e anni di prove, di tele distrutte, di fogli accartocciati negli angoli. Di pennesecche spezzate. La mia linea di pensiero è come la doppia linea di Mirò. Io sono il punto rosso che guarda. E riempie lo spazio di sé. Si dovrebbe tendere alla dignità di un poeta.
Meno di così è uno spreco.
Il 2010 va via fra un'ora. Ho molto da cancellare. Eppure salvo. Salvo tante cose.
Salvo quello che contribuisce a farmi decidere di cancellare molte cose e che corre in modo tagliente su questo filo rosso. E' il mio carattere. Sono causa del mio male perché so amare e so come dirlo. Lo dico spesso e bene e questo fa molto male. Ma io lo salvo.
Salvo la faccia sognante sotto la pioggia. Salvo le lettere d'amore scritte, spedite, mai spedite, rispedite al mittente, stracciate, ignorate e derise. Perché sono mie e io m'innamorerei di me stessa che scrive lettere d'amore ogni giorno, ad ogni riga, ad ogni puntino di sospensione e ad ogni spazio. Che negli spazi, a vederlo, c'è solo il respiro trattenuto per l'emozione provata mentre scrivo. Mentre racconto come nasce un battito.
Salvo i battiti che affogo lentamente. Perché chi ci pensa nel miele annega e malgrado il pensiero di alcuni ricordi sia dolce, so che è un dolce che ti stringe le mani alla gola e va riposto, accantonato. Imbottigliato e nascosto in fondo alla scatola delle cose dolci che hanno il retrogusto silenzioso del veleno. E uccidono.
Non posso permettermi di morire ancora. Non ho vinto un Nobel. Non ho scritto il libro di favole più bello della storia della favolistica. Non ho creato un neologismo. Non ho ancora fatto piangere nessuno ( nel 2011) per qualcosa che ho scritto. Mi pare troppo importante esserci.
Salvo le cose che nessuno racconta e che io raccolgo in confidenza.
Perché alle persone piace sempre dare di sé un'immagine vincente. Sono sempre tutti felici, tutti bravissimi, tutti realizzati, soddisfatti, sazi. Sono vestiti sempre all'ultima moda, hanno il mento che tende in alto. La mascella volitiva.
Nessuno piange in pubblico. Nessuno è triste. Come se la tristezza o il pianto fossero un abito strappato e impolverato che stona con il velluto dei vestiti degli altri, la domenica, a messa.
Io adoro il velluto. Ma come stoffa che avvolge i preziosi. Chiusa in un cofanetto.
Preferisco la polvere. E chi sa parlarle. Tu chiedi.
Salvo la sincerità. La mia. Perché la descrizione dei sentimenti non è cosa per tutti.
La descrizione (scritta) di cosa si prova è addirittura obsoleta. Una formula per liberarsi degli altri.
Quanto pesano le parole sincere: la limpidezza è troppo leggera per essere commisurata col calmiere dei giorni qualunque e il suo peso è dato dalla misura della solitudine.
Sono pochi quelli che possono sopportarne il peso.
E' molto più semplice scappare in giorni tutti uguali e silenziosi. Dove nessuno ti dice che ha bisogno di te. E che sei importante.
Salvo gli emotivi stitici. Perché sulla loro corteccia impenetrabile di freddezza e raziocinio ho misurato la permeabilità delle mie perle di dolcezza. Quest'anno le ho perse tutte. Perle che vanno per ritornare. Che serviranno a convincermi che ho solo sbagliato mira.
A mia difesa va detto che ho incontrato stitici emotivi conclamati. Di quelli che non guariranno.
E' stato un errore di valutazione. Un eccesso di presunzione, mio. Che non ripeterò.
Salvo il ragazzo delle consegne che mi dedica il raggio di luce stellare cantato dai Muse, dal suo mp3...
Salvo il Napoli di Cavani e Lavezzi. E i gol dopo il 93° perché non mollare dev'essere una questione di passione. E qui ce n'è da vendere
Salvo i bambini. In generale, ovvio.
Ma in particolare quelli che mi ricordano da quale parte voglio restare e perché.
Ad un piccolo che è arrivato adesso. Che ha meno di un mese e che ruba gli occhi di chi lo guarda, anche solo un attimo. Lui che non crede nei miracoli ma li sa fare.
Ad uno ( e qui si ferma il cuore) che ha solo 6 mesi e insieme guardiamo con gli stessi occhi la neve che cade sui tetti di Roma. E lui non sa che per la prima volta, io non guardo la neve perché lui è più straordinario. Insieme strappiamo stelle di gel luminose attaccate ai vetri e ci sembra, a me e a lui, che tutto l'universo sia lì. In punta di dita...
Ai due piccoli elfi magici col mio cappello bianco in testa. Che mi corrono incontro e mi fanno cadere all'indietro e ridiamo per ore sul pavimento senza riuscire ad alzarci. Che io ho 30 anni e loro 2 e sembra che loro sappiano esattamente cosa fare e come guardarmi per farmi sentire la persona più bella ed importante del mondo.
Salvo chi immagina tutte le cose che penso. E le vede prima. Che sta dalla parte delle cose difficili. Perché era troppo facile stare dalla parte delle cose facili.
E che è il motivo per cui salvo tutte le altre cose. Perché ci sarà sempre un momento peggiore di queste e lei sarà con me a riderne per mandarlo via.
Salvo chi sta ha iniziato la più grande avventura della sua vita. Che ha iniziato a guardare il mondo con occhi diversi adesso che i suoi occhi si specchiano in quelli di lui. Il suo bambino. Perché? Che domande. Quando la guardo è come se vedessi un miracolo che respira. Doppio.
Salvo chi mi offre le sue lacrime. Perché vuol dire che so inumidirmi le guance nello stesso modo ed è per me un privilegio. Mi ricorda che sono depositaria di profondità. Mi ricorda, come ricorda Walt Whitman, che contengo moltitudini e che vengo scelta per quelle più rare. Le lacrime sono un regalo. Per eletti.
Salvo chi non mi perde di vista un attimo. Chi, mi giro e mi sta guardando. Chi con un solo movimento del viso sa trovarmi nella folla, come si fa in in un enorme colonia di pinguini imperatore. L'unicità è assoluta. Questo sguardo la supera.
Salvo chi mi sorride senza conoscermi, per strada.
Chi mi cambia la giornata per un messaggio lasciato in bacheca o a telefono. Chi mi ricorda una canzone che adoro. Chi mi dedica i colori. Chi i petali dei fiori. Chi prova a descrivere un profumo per ricordarsi che sapore ho.
Salvo chi mi regala foto. Chi mi augura il buongiorno ogni mattina, cadesse il mondo, descrivendo il tempo che vivremo. Che piova o che ci sia un vento insopportabile. Che faccia freddo o si muoia per il caldo. Salvo i caffé veri e quelli posttai in bacheca.
I tisana/party nella cucina di casa, con la luce soffusa per iniziare a scegliere i sogni della notte.
Salvo chi si volta a guardarmi, quando ci salutiamo, perché sa che io mi volterò e mi piacerà riguardarlo negli occhi. E lui si volta. Perché lui è quello spazio/tempo che separa gli occhi.
Per riempirli di tutto il desiderabile del mondo.
Salvo chi mi aspetta sopra casa al freddo, per salutarmi, l'ultima sera prima di partire. Che mi scrive subito dopo per dirmi che le mancherò. E io lo rileggo mille volte quel messaggio, come se servisse per accorciare il tempo. E a volte sembra funzionare. Altre no.
Ma non so smettere.
Salvo chi...piango ogni volta che parto. Perché la parte di cuore che resta con loro non avrà mai un confronto in dimensione e in intensità. Il profilo di mio padre a cui ho rubato gli occhi che indosso. Le mani delicate di mia madre. E qui ci vorrebbe una pausa lunga un anno intero. Solo per riaversi dalla bellezza. E dall'effetto che mi fa.
Salvo quando piove e sto seduta dietro i vetri. E la pioggia è sempre giusta. E negarlo è quasi una bestemmia.
Salvo i libri che riprendo ogni anno. Le stesse parole, le stesse stanze. E quelle nuove.
Salvo la nuova agenda. Che compilo con la sacralità più intensa che conosco, con un rituale immutabile. Che andrebbe annoverato nel DSM IV per quanto sa di paranoico. Di maniacale. Di malato. Si chiama passione. Non mi pare grave. Se penso che c'è chi non ce l'ha, questo si che è grave...
Salvo, per chiudere, sapendo di avere altre cose da salvare che sono già con me, il sifone del lavello della cucina. Che proprio da poche ore è collassato sul pavimento, in una metaforica resa. Lui che ha assorbito acqua per decenni, che ha accolto caldo e freddo senza regole, che ha fatto di tutto per far andare tutto liscio. E' crollato. Come me. Troppo gelato, questo inverno.
Che di assorbire non ne possiamo più.
Adesso, a chi pensa di attraversarci senza volerci, a chi pensa di usarci come uno spazio di passaggio e poi di scappar via...diciamo no. Ci dissociamo. Ci siamo...rotti. Metafora per metafora vi lasciamo così....
Chi va via? Va via tutto il resto. Va via quello che va via ogni anno e che puntualmente ricapita. Va via il freddo. Non quello dell'inverno. Quello che chi non saprà riconoscersi in questa lista, per una cosa o per un'altra, ha contribuito a rendere perenne. Addio.
A tutti gli altri va il più incredibile degli auguri a cui so pensare. Lo scriverò. Per ognuno.
Nei 365 giorni che verranno. Di parole e passione